Hanging the president
1990
Asti Teatro 12
HANGING THE PRESIDENT
Autore Michele Celeste
Regia di Piero Maccarinelli, Pamela Villoresi
Musiche Antonio di Pofi
Interpreti Bruno Armando (Stoffel), Franco Castellano (Nak), Giampaolo Saccarola (Secondino), Tywhill Amenia (Rivoluzionario).
Prima rappresentazione Asti, “Festival Asti Teatro”, 26 settembre – 12 ottobre 1990 XII edizione, Ridotto del Teatro Alfieri

Ci sarà lo scandalo anche ad Asti, Michele?" I giornalisti non la smettevano di chiedere in occasione della prima italiana.
"Come no. Ci sarà lo stesso scandalo ad Asti come c'e' stato nelle altri parti. Perché dovrebbe essere diverso? Il mio e' solo un testo e Asti è solo un posto."
"Della regia, oltre allo sforzo compiuto per sbloccare una tale immediatezza di recitazione, bisogna lodare i ritmi secchi e veloci, e anche l'efficace impostazione scenografica. Il testo di Celeste, come si diceva, è interno a una convenzione drammaturgica ma è ben congegnato, efficace e riesce a carpire l'emozione anche di spettatori smaliziati. Alla prima di Asti il successo e' stato franco, senza contrasti anche sugli aspetti più crudi dello spettacolo."
Ugo Volli, LA REPUBBLICA.

LO SCANDALOSO HANGING THE PRESIDENT
..."Non ci scandalizziamo, per un copione che forse rivela un nostro autore di polso, di temperamento da emigrato che magari sa, ha conosciuto, ha veduto le discriminazioni."
RODOLFO DI GIAMMARCO, La Repubblica
EDIMBURGO -  La pietra dello scandalo ha sede nel settore B2 del carcere centrale di Pretoria. E' il braccio della morte, dove i condannati hanno le ore contate.  A subire il terrore di un'esecuzione annunciata, ormai proprio alle porte, e a condividere una cella angusta munita di essenziali lettini, sono due criminali bianchi del Sud-Africa, colpevoli d'essersi macchiati le mani del sangue di connazionali Afrikaaners.
La loro condanna serve quasi da pretesto e da monito salva faccia, ma in realtà  se avessero ucciso dei negri  l'avrebbero probabilmente fatta franca. Sono entrambi sfiniti, in preda allo choc.
Giacciono sulle loro brande, quasi immobili: e basta un niente perché esploda un inferno di oscenità, di torture fisiche e psicologiche, in una dimensione in cui non c`è più alcunché da perdere.
A distanza di qualche metro, noi sbirciamo questo calvario:
non prima, però, di inenarrabili appostamenti e snervanti attese per far breccia sul muro delle prenotazioni che fino al termine di agosto annunciano il "tutto esaurito" per Hanging the President di Michele Celeste, il lavoro che ha suscitato scalpore per la sua crudezza, per la sua miscela di razzismo e sesso, tanto da attirarsi la disapprovazione della Chiesa di  Scozia, e il conseguente tam-tam internazionale passato attraverso le agenzie di stampa.
VIDEO-CELLULE DI CONTROLLO
La stessa Sala Studio del Traverse Theatre, una delle due o tre realtà più qualificate nel "Fringe", e cioè nell'area off del Festival di Edimburgo, è un sottotetto angusto, dove a stretto contatto con gli attori s'allineano tribune per non oltre un centinaio di spettatori. L'azione e scorgibile anche attraverso due monitor laterali che simulano la funzione di video-cellule di controllo.
Il presunto marchio d'infamia di questa messinscena che rivela un drammaturgo oriundo italiano non concerne, almeno apparentemente, l'effetto collaterale di una violenza omologata dal regime di segregazione, quanto attiene invece all'audacia, alla sincerità turpe e scomposta di persone in uno stato di abiezione, di prostrazione, alla vigilia del loro annientamento.
Ecco, allora che Stoffel Le Grange, reo di aver assassinato ferocemente la moglie che lo tradiva, e l'altrettanto geloso Nak van derKerwe, omicida di un militare che gli ha insidiato e resa gravida la consorte, ecco che questi due esiliati dalla comunità mettono in gioco i loro residui istinti di sopravvivenza, ai limiti spesso del farneticare di un trauma sconcio ma mai più orrendo in sé, della tortura alla quale li sottopone un potere rigido che faccia leva sulle condanne a morte.
Il più intemperante è Stoff, provocatore del guardiano che li sorveglia, un ufficiale giovane la cui sagoma ricalca quella di Montgomery, mentre la sua ingordigia lo porta ad appropriarsi sovente della foto della consorte del compagno di cella, e usarla per masturbarvisi.
Riserva al compagno un repertorio di pugni bestiali, di colpi bassi; e lo costringe a un reciproco denudamento sul secchio che fa da bugliolo, e sempre Stoff, mentre la tensione sale, impone un cameratismo equivoco con Nak, fantasticando contatti e piaceri da orgasmo, con abbracci disperati, quasi per aggrapparsi a un eros che di lì a poco svanirà  insieme alla vita.
E' questo che ha indignato?
Ancora solo in parte, credo. Entrano poi in campo due ingredienti più “forti”, uno politico e uno angosciosamente spudorato, da Salò pasoliniano. Se fino al momento, la drammaticità era laida, era, una conseguenza indotta di una `morale belluina, ad un tratto nella cella arriva un terzo ospite anch'esso condannato a morte, un militante di colore accusato della strage di cinque soldati bianchi. Taciturno e stoico, il partigiano dei diritti civili dei neri reca con se un alone di coscienza e di martirio che scuote, forse irrita gli altri due, andando egli alla forca col pugno chiuso tenuto in alto.  E fin qui, nessuno può obbiettare.
SCENE DI SESSO E MASOCHISMO

Dove invece Jo spettacolo cerca una sua catarsi, un suo choc, e nell'assoggettamento cui Stoff convince I'agente di custodia, quando in un morboso, crescente amalgama di ruoli e di libere licenze sotto chiave (anche per il secondino) scatta una sequenza di sodomia ai danni della guardia consenziente: tutto avviene con  realismo; in terra fra le due brandine; per minuti di selvaggia trance; mentre Nak tenta a modo suo un'altra estasi, facendosi masochisticamente gettare indosso alcune feci dall'attivista politico.
Dopo aver molto sentito certe stravaganze di Stoff che s'inventa l'identità di Presidente Botha, dopo aver visto l'altro Afrikaaner stare alla medesima finzione come Ministro della Giustizia e come `moglie`, dopo sudore, maltrattamenti, e invettive, dopo lacrime dure, dopo aver intravisto l'ombra di una forca, e aver recepito il silenzio che mette una pietra sulla vergogna, diciamo che Stuart Hepburn (Stoff) e' stolto e superbo: che Marck Faith (Nak) ha l'accondiscenza degli smarriti, che Bill Leadbitter (il secondino) e un pinteriano padrone-servo. E la regia di Ian Brown è secca, veritiera, calibrata.
Non ci scandalizziamo, per un copione che forse rivela un nostro autore di polso, di temperamento da emigrato che magari sa, ha conosciuto, ha veduto le discriminazioni. E già la sa lunga, anche se nega talune parentele con l'Athol Fugard de L'isola e col Manuel Puig de Il bacio della donna ragno.