Il caso Fedra
1997
Teatro Argot
IL CASO FEDRA
Autore Michele di Martino
Regia di Maurizio Panici
Scene e costumi di Arnaldo Pomodoro
Musiche di Massimo Nunzi
Interpreti Bruno Armando (Teseo), Andrea Bacci (Ippolito), Massimiliano Franciosa, Isabel Pogany, Luciano Roman, Pamela Villoresi (Fedra)
Prima rappresentazione Roma, Anfiteatro romano di Urbisaglia, 23 luglio 1997

Qual’è il senso di una riproposizione di uno dei miti più discussi ed amati della letteratura antica, moderna e contemporanea? Perché Fedra ancora una volta? Tremila anni fa l’uomo cercava una via d’uscita dal labirinto cretese, già da allora ci si chiedeva come risolvere il conflitto tra ragione e istinto, quale fosse il confine tra il bene e il male. I nostri antenati, a questo bisogno di certezza, di trovare spiegazioni ai misteri della vita, rispondevano con i miti in cui gli uomini, la natura, gli dei erano collocati e con i quali affrontavano la realtà e raccoglievano i segreti dell’ esperienza umana.
Anche all’uomo di oggi la lettura del mito offre un’ulteriore possibilità di ragionare sugli interrogativi e riconoscere le proprie inquietudini del presente rispetto all’incertezza del futuro.
Il mito di Fedra, dunque, come tutti gli altri miti, rispecchia la nostra esperienza umana, rappresenta il paradigma delle nostre passioni. Nella sua vicenda, in quella di Ippolito e quella di Teseo, possiamo vedere riflessa l’impotenza di fronte ai sentimenti che travolgono la nostra vita, l’incapacità di sottrarsi alla sfera dell’istinto, di far durare un amore nel tempo, di privilegiare gli interessi familiari su ogni altro aspetto del vivere quotidiano.
Poeti e drammaturghi di ogni epoca si sono avvicinati a Fedra ed hanno raccontato con analisi e prospettive diverse, la sua tragedia a seconda della loro sensibilità e delle esigenze morali e spirituali del contesto storico al quale appartenevano.
“Il caso Fedra” è incentrato su un’idea chiave fondamentale: quella di accostarsi, in tre momenti drammatici autonomi al “fatto” vissuto dai tre protagonisti; di consentire cioè, prima a Fedra, poi ad Ippolito ed infine a Teseo, di narrarci il loro dramma, il loro modo di essere e di amare, di pregare ciascuno il suo Dio, in un destino di incomunicabilità e solitudine.
Sulla scena vivono, attorno a loro,due figure nel contempo reali e simboliche, Aura e Silvio, le quali dipanano la storia passando dall’ombra dei sospiri alla luce della ragione, coinvolti nell’azione tragica da un lato e dall’altro testimoni distaccati per guidare lo spettatore all’interno della struttura narrativa.
Silvio rappresenta l’amico fedele, il ragazzo dei boschi, il nostro compagno di sventura e di gioco; Aura la nostra anima bambina che ci richiama alla semplicità della vita, alla fedeltà verso l’innocenza. Il linguaggio del testo si evolve gradualmente da quello più descrittivo e moderno della prima parte, a quello più musicale e ricercato della seconda, per arrivare ai toni più solenni, asciutti ed essenziali della terza parte, in un ideale cammino a ritroso verso le origini classiche di questo racconto drammatico.
Nessuna certezza, dunque, per lo spettatore posto di fronte a tre verità, la verità di Fedra, ma, forse, l’occasione di ulteriori riflessioni, dubbi ed ipotesi su un dilemma senza tempo.
Michele Di Martino
Fedra - Ippolito – Teseo, un triangolo che racchiude mondi non comunicanti tra loro, visioni diverse della realtà. Tre esseri disperatamente soli che si relazionano in un tragico incrocio.
In un serrato confronto i tre protagonisti di questa rilettura del mito di Fedra, si espongono nel tentativo di far capire le ragioni che hanno portato ognuno di loro ad un punto di non ritorno.
Il voto di Ippolito fatto a Diana, l’amicizia tra uomini e la conseguente scelta di vita che escludono l’universo femminile.
La passione di Fedra per il ragazzo e il disperato tentativo di averlo.
Il ritorno dell’eroe che dopo aver attraversato e vinto innumerevoli battaglie, prende coscienza del suo fallimento sul piano umano.
Questi gli elementi portanti dello spettacolo.
L’incesto e l’adulterio sono solo i segni visibili di un conflitto interiore ben più profondo che vede la protagonista combattere prima ancora che con l’esterno, con il suo io inflessibile e inclemente. Una lettura contemporanea del mito, dove il ritmo del racconto è “cinematografico”, tre le verità dei personaggi che emergono dallo stesso accadimento, tre diverse rappresentazioni dello stesso evento.
La scena di Arnaldo Pomodoro è simbolica, fortemente evocativa, archetipo, labirinto e foresta insieme, luogo dell’anima che ben evidenzia la solitudine dei protagonisti.
Maurizio Panici