L'isola degli schiavi
1994/1995
Piccolo Teatro di Milano. Teatro d'Europa.
L'ISOLA DEGLI SCHIAVI
Autore Pierre De Marivaux
Traduzione, adattamento e regia di Giorgio Strehler 
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Luisa Spinatelli
Musiche di Fiorenzo Carpi
Movimenti mimici di Marise Flach
Luci di Gerardo Modica
Interpreti Renato De Carmine, Philippe Leroy (Trivellino), Laura Marinoni (Madame), Massimo Ranieri (Arlecchino), Luciano Roman (Monsieur), Mattia Sbragia, Pamela Villoresi (Silvia Cleantis).
Prima rappresentazione Barcellona, Teatro Poliorama, 18 ottobre 1994

E' su un' isola la repubblica per padroni e servi pentiti. Un mondo in cui gli schiavi diventino padroni e i padroni schiavi; ma non per sempre, soltanto il tempo necessario perché questi si pentano della loro arroganza e quelli del loro rancore. L'utopia su cui e' costruita L'isola degli schiavi, una commedia filosofica scritta nel 1725, quasi tre quarti di secolo prima della Rivoluzione francese, e scelta da Giorgio Strehler per il suo primo incontro con Marivaux, non ipotizza drastici rivolgimenti sociali, ne' l'abolizione dei privilegi. Insomma, una "piccola" utopia. Ma 150 anni dopo Arthur Rimbaud avrebbe scritto che la cosa piu' importante non e' cambiare il mondo, bensì la vita; e ancora oggi, dopo la debacle delle rivoluzioni storiche, e' difficile non chiedersi se il fallimento non sia cominciato dalla convinzione che il cuore sia una "sovrastruttura"... Come in ogni commedia di questo grande autore, anche ne L'isola degli schiavi la perfezione del meccanismo narrativo e la chiarezza della metafora sono avvolte e trasfigurate dalla luminosità torbida e struggente, dal turbinoso pulviscolo dorato di un'analisi infinita. Data la situazione, disegnato l'apologo, ciò  che veramente importa a Marivaux e' l'ingegneria dei sentimenti: non perdere un solo passaggio, una sola vibrazione di quanto avviene nell' animo di ciascuno e nel campo magnetico che collega un animo all' altro. Nel momento in cui Monsieur e il suo servo Arlecchino, Madame e la sua serva Silvia, vengono gettati da un naufragio sull'isola do ve un gruppo di schiavi fuggiaschi ha fondato la sua singolare repubblica, noi possiamo già  intuire quale sarà il loro destino esteriore: qualcuno imporrà loro con inflessibile dolcezza di scambiarsi i ruoli, insomma li "rieducherà " per riconsegnarli infine alla vita di prima; ciò che non possiamo immaginare e' quali saranno le reazioni interiori, come ciascuno vivrà il suo nuovo stato, secondo quale geometria cristallizzeranno i nuovi rapporti nati dal capovolgimento degli antichi rapporti. Ed e' proprio di questo che la commedia ci parla, con una eloquenza e sapienza del profondo che tanto più ci coinvolgono quanto meno aspirano a una "conclusione". Alla fine, e' chiaro, i padroni tornano ad essere padroni, i servi servi; ma cosa ne e' dei loro cuori? Forse sarebbe meglio se provassimo a chiederci noi lettori, noi spettatori cosa ne è dei nostri. Da questo testo solidissimo e impalpabile, perentorio come una sentenza e ambiguo come un oracolo, Strehler ha tratto uno spettacolo stupendo per tagliente dolcezza di chiaroscuri, per trascolorante corposità di gesti e di suoni. Una luce boreale, la luce di un'eterna aurora o di un perpetuo crepuscolo, incombe sul vertiginoso perdersi e ritrovarsi dei personaggi; ed e' impossibile dire con quanta maestria, anzi (per una volta è davvero il caso di usare questa parola) con quale magia il regista sia riuscito a conciliare la verità "fisica" della definizione dei personaggi con il loro "metafisico" sfuocarsi e contaminarsi a vicenda, come se il corpo di ciascuno attraversasse di continuo il corpo dell' altro alla ricerca di un'impossibile e irrinunciabile identità comune.
Lettera alla compagnia dell'Isola degli schiavi
Lettera agli attori della compagnia in occasione della partenza per una tourné europea con tappa a Mosca
La missione del teatro “Piccolo” continua. Mi rattrista molto non poter essere con voi, ma in questo momento della mia carriera artistica sto attraversando una profonda crisi. Ho lasciato il teatro “Piccolo” e Milano quando mi è parso evidente che nelle condizioni esistenti non sono più in grado di creare quello che sento e che ancora posso creare.
Temo che questa decisione possa essere definitiva perché al momento non vedo nessuna concreta dimostrazione di buona volontà per la soluzione dei seri problemi del nostro teatro che è attivo da 50 anni. Se le autorità italiane non ci presteranno aiuto compiranno un grave errore. Ma qualunque cosa sia accaduta, la nostra forza vitale e l’amore, la nostra malinconia e le nostre vedute sono rimasti immutati, denunciando l’ingiustizia della nostra società – di quell’Isola degli schiavi. Quest’opera è stata concepita per parlare di molte cose e senza farlo sentire mostrare i problemi dell’ordine supremo con leggerezza brillante e umanesimo. Sono felice che il mio spettacolo e questa pièce siano rappresentati ancora una volta a Mosca, città cara a tutti noi, dove il calore degli animi, la benevolenza e la fiducia ci hanno sempre incoraggiato e riscaldato. In questo momento non sarò con voi, ma questo non è così importante. Io sono qui insieme agli attori, nei quadri, negli effetti di luce, in ogni gesto e parola. La mia incarnazione artistica è più importante della mia presenza fisica.
E tuttavia spero che ci incontreremo ancora o insieme al teatro “Piccolo”, mia creazione, o in altre circostanze. La cosa più importante, credetemi, è che il teatro esista sempre, che si sviluppi e che il pubblico lo ami. Noi artisti, siamo soltanto lo strumento della poesia del teatro. Proprio in essa sta l’essenza del teatro. Voglio ripetere ancora una volta la mia speranza che questo non sia l’ultimo incontro, Colleghi e amici russi vi abbraccio con tutto il cuo­re, noi tutti siamo membri di una numerosa famiglia per la quale non esistono confini.
Sono vostro
Giorgio Strehler